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“L’umanità guarirà dalla psicoanalisi. Lacan e il counseling filosofico” Luca Nave

“Penso dove non sono, sono dove non penso”
Lacan J., 1974, p. 512

Nel saggio Il trionfo della religione, Jacques Lacan scrive:

“Se la psicanalisi non trionferà sulla religione è perché la religione è inaffondabile. La psicoanalisi non trionferà, sopravvivrà oppure no. […] Per quanto riguarda il senso, ci sanno fare. Sono veramente capaci di dare un senso a qualunque cosa. […] C’è una vera religione, la religione cristiana. Si tratta semplicemente di sapere se questa verità terrà botta, vale a dire se sarà capace di secernere abbastanza senso da sommergerci ben bene. Ce la farà di sicuro. […] Troverà una corrispondenza di tutto con tutto. Che è poi la sua funzione” (2006, p. 98).

All’origine della religione vi sarebbe l’ “insicurezza esistenziale”, la paura che costituisce “il sentimento per eccellenza dell’uomo” (Levinas, 1990, p. 169). Tutto ciò che attiene al sacro/religioso non è altro che una contromossa che la psiche mette in atto, in un secondo momento e in assenza di altro di meglio, al fine di superare l’angoscia che attanaglia il soggetto. Il soggetto, in realtà, non avrebbe nulla a che fare con il religioso, anche se poi, inevitabilmente, si consegna a esso per compensare la mancanza di senso che ne affligge l’essere.

La religione, insomma, per dirlo in termini marxisti, è una sorta di sovra-struttura. Ciò che sta prima è il meno, cioè il vuoto dell’angoscia esistenziale, mentre il di più è il sovrainvestimento psichico che il soggetto mette in scena per rimediare all’angoscia stessa. La religione è la risposta al bisogno dell’ “uomo malato” per consolarlo dalla ferita dell’angoscia che ne affligge l’esistenza.

A differenza della religione, che nel tentativo stabilire “una corrispondenza di tutto con tutto” arriva a stabilire “sensi truculenti”, gli psicoanalisti “conosco veramente bene” ciò di cui, a livello del soggetto, ultimamente si tratta, vale a dire dell’angoscia, dimostrando di avere gli strumenti adatti, quelli forniti da Freud, per poterne “almeno parlare, evitando camuffamenti e censure” (Id, p. 93). L’analisi, in particolare, si occupa di ciò che non funziona, del reale; mentre la religione si occupa di ciò che funziona, cioè il mondo.

“Per accorgersi che non c’è il mondo, vale a dire che ci sono cose che solo gli imbecilli credono che siano nel mondo, basta notare che ci sono cose che fanno sì che il mondo sia immondo. E di questo che si occupano gli psicoanalisti”. Da questo punto di vista, quello aperto dall’esperienza umana di una sfasatura irriducibile rispetto al girare in tondo del mondo, la psicoanalisi si imporrebbe come un sintomo. Non ci si renderà conto che “il sintomo è quanto c’è di più reale. Si propinerà senso a bizzeffe e questo alimenterà sia la vera religione sia una caterva di religioni false. Si guarirà l’umanità dalla psicoanalisi, si arriverà a rimuovere questo sintomo a forza di annegarlo nel senso religioso del mondo”. La religione è fatta per guarire gli uomini, affinché non si accorgano di ciò che non va.

La psicoanalisi non è apparsa in un momento qualsiasi della storia. È un “piccolo lampo” tra due mondi, tra un mondo passato della religione, luogo in cui “tutto va” e in cui si riesce a trovare un senso a ogni costo, e un “meraviglioso mondo futuro” che la scienza e la tecnica stanno riorganizzando trasformando ogni questione esistenziale in un problema da risolvere tramite le strategie del problem solving. Quando in futuro la scienza dispiegherà il suo sapere-potere e prenderà possesso dell’intera scena umana, “tutto andrà”.

In questa terra di mezzo, venuto meno il soccorso della religione e nell’attesa che la scienza (in particolare c’è grande attesa per le neuroscienze e per le nuove psicologie scientifiche) faccia la sua apparizione, la psicoanalisi si trova in una brutta posizione. Se da una parte “non c’è presa più totale della realtà umana di quella compiuta dall’esperienza freudiana […] non possiamo fare a meno di pensare che la teoria della psicoanalisi, e nello stesso tempo la sua tecnica, hanno subito una sorta di impoverimento e, a dire il vero, di degradazione. Tra “la gente che senza arte né parte” si è occupata e si occupa di “ciò che non va” vi sono proprio molti psicologi e sedicenti psicoanalisti che hanno smarrito la pienezza dell’esperienza freudiana e sono destinati al fallimento. A crollare sarà la psicoanalisi “che non pensa”, quella che non esce dall’ambito ristretto di una clinica che tende al benessere di coloro che Nietzsche chiama “gli ultimi uomini”, le cui aspirazioni si risolvono “in una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute” (1968, p. 12).

“Bisogna avere le spalle robuste – conclude Lacan – per non ingannarsi su ciò che non va ed essere maledettamente corazzati contro l’angoscia”. Di fronte a quest’ultima nessun sapere, a maggior ragione quello che si sviluppa intorno alla pratica psicanalitica, può considerarsi garantito una volta per tutte.

Oggi che “le chiese sono deserte e il lettino dello psicoanalista è vuoto” (Galimberti, 2013, p. XIV) chi si occupa della cura dell’angoscia esistenziale che continua ad affliggere, a livello strutturale, il soggetto?

Il counseling filosofico nasce dalla consapevolezza lacaniana che nessun sapere (da quello della scienza “dura” a quello della psicoanalisi) può elargire la garanzia di essere corazzati contro l’angoscia del vivere. La filosofia incarnata in questa relazione d’aiuto non si presenta come un sapere per lenire il male di vivere ma, tenendo fede all’antica etimologia del termine, come una “ricerca del sapere” tramite la relazione (Philia) intersoggettiva. Per questo motivo il dialogo tra il filosofo consulente e il consultante non assomiglia per nulla a una seduta psicoanalitica o a un colloquio o una confessione di natura religiosa. Il filosofo non promette né la salute né la salvezza ma dispone di strumenti per ricercare alla radice ciò che non funziona nel reale non per conto dell’altro ma con-l’altro.

La filosofia non svela il senso della vita ma aiuta a ricercarlo, continuamente e mai una volta per tutte; il filosofo è consapevole che “il bisogno di un senso della vita assale l’uomo, ma la vita stessa lo disillude in proposito, si ritrae di fronte a questa pretesa, e ci costringe di nuovo a ritessere ogni giorno la tela che ogni notte viene disfatta. Con il senso della vita bisogna ricominciare sempre daccapo, e non sembra essercene uno che sia definitivo”. (Balistreri A., 2006, p. 42).

 

Bibliografia

Balisteri A., Prendersi cura di se stessi,  Apogeo, Milano, 2006

Galimberti U., Presentazione del Dizionario del counseling filosofico e delle pratiche filosofiche (a cura di L. Nave, P. Pontremoli, E. Zamarchi), Mimesis, Milano, 2013

Lacan J., “L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud” in, Scritti (vol. I), Einaudi, Torino, 1974

Il trionfo della religione, Einaudi, Torino, 2006

Levinas E., Totalità e infinito, Jaca Book, Milano, 1990

Monetti S., Jacques Lacan e la filosofia, Mimesis, Milano, 2008

Nave L., “Perchè proprio a me? Valenza pratica, curativa e terapeutica della condizione umana attraverso il counseling filosofico”, Rivista Ricerca di senso, n.1, 2012

Nietzsche F., “Così parlò Zaratustra. Un libro per tutti e per nessuno” in, Opere, Adelphi, Milano, 1968

AUTORE. Luca Nave, Presidente di Pragma. Docente di “Teoria e metodologia del Counseling Filosofico” al Master in Counseling Filosofico Pragma di Milano

 

 

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