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Dentro o fuori: etica e terapia intensiva ai tempi del Coronavirus. Luca Nave

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Tanto per alimentare il timore atavico che il COVID19 genera nella popolazione e con il bieco obiettivo di sfruttare la paura per vendere più copie, Il Giornale (7.3.2020) invoca un certo “documento segreto per decidere chi salvare” in caso di emergenza sanitaria determinata da contagio estremo di coronavirus.
Il documento non è segreto, si può scaricare qui. Si tratta delle “Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”, stilate dalla Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva per affrontare una situazione di contagio appunto “estremo”, nell’ambito della “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione etica ha elaborato nel tempo molte concrete indicazioni per i medici e gli infermieri impegnati in scelte difficili.
Allo stato attuale siamo lontani da una “catastrofe” sanitaria nazionale. I titoli sensazionalistici e allarmistici contrastano ogni etica della comunicazione. La questione sollevata riguarda invece un serio problema etico di “giustizia distributivain uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive “non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate”.
Lo scenario tratteggiato dai complottisti apocalittici è che sarà presto inevitabile il sacrificio di centinaia di pazienti in base all’età, alla loro fragilità e “utilità” nel mondo”. Una “selezione” clinica di anziani, malati e disabili che vivono o muoiono in base alle necessità allocative delle risorse scarse, che rievoca il “Comitato di Dio” degli anni Sessanta del secolo scorso. 
Ogni volta che si presenta un problema di giustizia distributiva è necessario individuare dei criteri relativi alle cosiddette proprietà rilevanti che devono essere possedute dalle persone per avere titolo a una determinata distribuzione di un bene “salva-vita” affinché la distribuzione non sia arbitraria o basata sul caso.
Il problema è serio e urgente: se tanti pazienti richiedono l’assistenza in terapia intensiva per sopravvivere, i posti non basteranno per tutti. E qualcuno dovrà rimanere senza. Come si scelgono i pazienti che hanno accesso alla terapia intensiva se c’è uno scarto tra la domanda e l’offerta, se cioè le sale disponibili sono in numero inferiore a quelle richieste? Quale deve essere l’ordine di accesso? La gravità della malattia (si privilegia chi è messo in condizioni peggiori e rischia la vita)? Le probabilità di successo del trattamento, cioè le aspettative che si hanno sui risultati. Oppure una combinazione di questi due criteri? E se la gravità della malattia clinica e le probabilità di successo sono le stesse? Si potrebbe adottare un criterio cronologico (si segue l’ordine temporale con cui è stata fatta la richiesta) o legato all’età del paziente? Oppure, come sostengono gli egualitaristi, in caso di default del sistema è giusto tirare a sorte rispettando in questo modo il principio di uguale rispetto per l’uguale dignità di ciascun individuo? O, ancora, si potrebbero far entrare in gioco i meriti sociali delle persone? Se per esempio ci sono due pazienti in attesa, uno è un candidato al premio Nobel per la medicina per le sue ricerche scientifiche sul cancro mentre l’altro è un anziano alcolista e senza tetto, con condizione clinica e possibilità di successo pressoché uguale, sarebbe giusto dare la precedenza al primo rispetto che al secondo?
Nello scenario apocalittico sopra evocato, emerge in particolare un passo del documento SIARTI  – sottolineato con forza da Il Giornale e da altri apocalittici – che alimenta le paure ataviche della selezione clinica di anziani, malati e disabili. “Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeuticosi tratta dunque di privilegiare la ‘maggior speranza di vita‘».
Assumere il criterio della maggiore speranza di vita implica il non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo prioritario “first come, first served” oppure porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva. Ma non si tratta di compiere scelte meramente di valore personale, soggettive o arbitrarie bensì di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone.
Visti i toni allarmistici è necessario sottolineare che se il documento “consiglia” di curare prima i pazienti con un’aspettativa di vita più alta, la scelta avviene solo dopo “che da parte di tutti i soggetti coinvolti sono stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse erogabili (nella fattispecie, letti di Terapia Intensiva) e dopo che è stata valutata ogni possibilità di trasferimento dei pazienti verso centri con maggiore disponibilità di risorse”.  
L’obiettivo di fondo del documento è garantire a tutti la massima parità di accessoalla terapia intensiva affinché la scelta non sia affidata al buon senso, alla sensibilità e all’esperienza del singolo medico. Oltre che “sollevare i clinici da una parte della responsabilità nelle scelte, che possono essere emotivamente gravose, compiute nei singoli casi” scopo del documento è “rendere espliciti i criteri di allocazione delle risorse sanitarie in una condizione di una loro straordinaria scarsità”.
Non solo il documento rappresenta per il paziente una tutela in termini di limitazione dell’arbitrarietà delle scelte del team curante, ma vuole anche illuminarne il processo decisionale e renderlo pubblico, con l’obiettivo di ridurre l’ansia, lo stress e l’incertezza che genera angoscia.
Una seria riflessione etica consente una allocazione razionale delle risorse anche in una situazione di emergenza e dovrebbe garantire una corretta informazione ai cittadini onde evitare di accrescere le paure ataviche e ancestrali che la convivenza con il coronavirus di per sé genera. 


Luca Nave
Presidente di Pragma, Direttore della scuola di Pratiche Filosofiche di Milano.
Autore de Il counseling bioetico: istruzioni per l’uso (Mimesis, aprile 2020)

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