Nulla è associato più comunemente alla Natura
che la parola Legge.
che la parola Legge.
J. S. Mill (1987, p. 19)
Spesso il discorso pubblico è affollato di voci che si appellano alla “natura” per stabilire criteri che orientano le scelte individuali e le politiche pubbliche, in particolare in termini di salute, di ammissione di nuove tecnologie o nuovi diritti. Questi appelli sostengono, per esempio, che un prodotto naturale è sempre migliore del prodotto artificiale, che la famiglia “naturale” è migliore della famiglia “arcobaleno”, che l’omosessualità è “contro-natura”, che è naturale la procreazione tramite sessualità (sono innaturali le tecniche per la procreazione medicalmente assistita, la gestazione per altri e via discorrendo) e la sessualità che mira alla procreazione (le tecniche anticoncezionali sono innaturali).
Insomma, la natura preserverebbe un quid di bontà, una purezza originaria autentica, non artificiale e non contaminata dalla cultura umana, un certo “ordine”, una “legge” o un “disegno” intelligente che deve ispirare la condotta umana per mangiare e bere in modo naturale, ma anche per innamorarsi, fare sesso, fare figli e fare coppia in maniera naturale.
Gli argomenti che si appellano alla natura quale fonte di bontà e moralità – dall’argomento della “bontà selvaggia” (Rousseau) a quello del “migliore dei mondi possibili” (Leibniz) – reggono “in tempo di pace” ma entrano in crisi “in tempo di guerra”. Il terremoto di Lisbona del 1755 scatena Le Candide di Voltaire contro la natura crudele, l’esperienza dei campi di concentramento rivela la mostruosità radicale della “natura” umana. L’esperienza COVID19 ripropone l’annosa domanda: la natura che attraverso un virus produce una pandemia che genera dolore e morte in tutto il mondo, è buona? Sui social network di questi giorni troviamo riproposte varie formulazioni della questione e tante risposte, più o meno incerte.
La logica che sta dietro agli appelli alla natura quale fonte di bontà e moralità non ammette l’incertezza: chi si appella alla natura, in genere non utilizza argomenti prima facie ma si appella alla “verità” e alla “vera natura delle cose” con argomenti che valgono sempre (deduttivi) o almeno per lo più (Endoxa). Se si afferma che un certo farmaco omeopatico è migliore di uno allopatico o che la famiglia “naturale” sia migliore della famiglia “arcobaleno”, si esprime la convinzione che sia sempre così, perché la caratteristica della natura che determina quella circostanza vale sempre, non certe volte sì e certe altre no. “Dio non gioca a dadi con l’universo” (Einstein, 1924).
E allora: come è possibile sostenere che un prodotto naturale sia migliore di uno artificiale o che esista una famiglia “naturale” e un modo “naturale” di fare i figli rispetto ad altre modalità innaturali/cattive, se la natura non solo non è buona, e neppure solo neutrale, bensì cattiva e crudele?
Qualcosa non torna, e forse per molti è meglio che la questione resti un po’ nell’ombra. Per l’opinione pubblica l’idea di natura – con tutto il mistero da svelare che la avvolge – esercita una certa attrazione ed è un ottimo strumento retorico in virtù dell’autorevolezza che sembra offrire agli argomenti che vi ricorrono, che possono essere molto convincenti ma anche ingannevoli, perché possono contenere vere e proprie fallacie logiche che è necessario riconoscere per non farsi ingannare. La logica, lo dicevano gli antichi filosofi, è una terapia contro l’inganno e l’ignoranza.
Il concetto di “natura” è estremamente complesso. Peter Coates (1998, p. 3), nella sua analisi del concetto nella storia della cultura occidentale, propone cinque significati:
1. la natura come fenomeno collettivo e del mondo;
2. la natura come luogo fisico (in particolare ciò che non è modificato dall’essere umano);
3. la natura come “essenza” o “principio” che informa il funzionamento dell’universo;
4. la natura come concettualmente opposto a cultura (nell’accezione più vasta del termine)
5. la natura come fonte di ispirazione e fonde di autorità per le questioni umane.
Le prime due varianti, la natura come l’insieme di tutto ciò che esiste, come luogo o ambiente “naturale”, sono descrittive e neutrali: la natura esiste, è un fatto, è descritta da una scienza in progress e come tale è indipendente dall’umano agire. Quando si fa appello alla natura quale fonte di bontà e di moralità si ricorre in misura variabile alle altre tre: la natura come un’essenza o un principio che, in qualche modo, presiede la realtà e la organizza (terzo punto). Una realtà “superiore” e a priori rispetto alle decisioni umane e alla cultura (quarto punto). E come tale, la natura è fonte di ispirazione o normatività: la natura non dispensa solo buoni consigli ma sancisce obblighi e impartisce comandi in merito a questioni potenzialmente dannose per la natura umana.
Nel passaggio da una visione descrittiva (punti 1 e 2) a una visione valutativa e normativa (punti 3,4,5) della natura può nascondersi l’inganno. In generale, tutti gli appelli alla natura quale fonte di bontà e moralità partono da un’immagine descrittiva della natura come è fatta in sé e, alla luce di questa visione del mondo, deducono una morale, propongono cioè un insieme di consigli, precetti, norme, obblighi e divieti da seguire per agire in maniera conforme alla natura. Come rileva David Hume (1987, p. 496), il passaggio dalla copula “è” al verbo “deve” risulta problematico; la fallacia naturalistica (Moore, 1964) è in agguato.
La logica offre gli strumenti per valutare gli appelli alla natura in termini descrittivi (X è così), valutativi (X è buono) e normativi (X è giusto/doveroso). Onde evitare fallacie che inficino la legittimità del collegamento fatto-buono-giusto, la logica impone di privilegiare gli argomenti valutativi e prescrittivi che incorporano tesi, fatti e dati disponibili a tutti (passibili di osservazione con le facoltà percettive comuni a tutti gli esseri umani) e teorie suscettibili di verificazione o falsificazione (Popper, 2009). Tale privilegio non manifesta la scelta di un particolare stile filosofico ma è l’applicazione del ragionamento argomentativo alla moralità, centrata sulla disponibilità degli interlocutori a fornire “buone ragioni” a sostegno delle proprie tesi a un pubblico “ragionevole” (che condivide cioè i livelli basilari della logica e dell’argomentazione). Se la natura a cui ci si appella non rispecchia i criteri di pubblica evidenza e disponibilità la teoria che sostiene l’appello alla natura cade in un paradosso perché pretende di fornire una base solida e universale alla moralità basandosi su una concezione della natura che, se non è basata su fatti evidenti e disponibili, non possiede i requisiti di stabilità e condivisione.
Per non cadere vittima di falsi – perché logicamente fallaci – appelli alla natura quale fonte di bontà e moralità la logica rompe la patina retorica che li circonda e scava negli argomenti che li sorreggono, analizzando sia le fonti, sia la valenza semantica delle parole che usano, sia la coerenza interna e quindi la validità argomentativa delle tesi sostenute attraverso le inferenze che collegano premesse maggiori e conclusioni dei ragionamenti.
Ma la logica non pretende che tutti siano logici: ognuno può pensarla un po’ come gli pare, fino a un certo limite. Se i terrapiattisti vivono bene e la loro immagine della natura non crea un danno alla società, possono essere liberi di pensare che la terra sia piatta e, in base a questa idea, vivere in armonia con la loro visione del mondo. Il problema sorge quando si vuole imporre agli altri la propria idea di natura e, in base a questa visione del mondo, prescrivere norme, obblighi e divieti che devono valere per tutti. Un po’ come se i terrapiattisti prendessero il potere e impedissero i viaggi in nave perché si andrebbe a sbattere contro il muro che c’è alla fine del mondo (come in the Truman show, per intenderci). Il terrapiattismo, in questo caso, non sarebbe solo un’offesa alla logica e all’intelligenza ma creerebbe un danno alla società. Un po’ come, insomma, se in base a una certa idea di famiglia naturale si proibisse il matrimonio tra persone omosessuali, la possibilità di adozione o il ricorso alla Fivet eterologa da parte di una coppia sterile.
Ma questa è un’altra storia, una patata bollente che la logica lascia all’etica pubblica, alla politica e alla giurisprudenza perché oggi, in Italia, sembrano esserci i terrapiattisti al potere che, tramite il loro appello alla natura, negano i diritti a chi pensa che la terra sia rotonda o che almeno esista un’altra idea di natura possibile.
Di questo ne parleremo nella seconda parte.
Bibliografia
Coates P., Nature. Western Attitudes since Ancient Times, Polity Press, Cambridge, 1998
Hume D., Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari, 1987
Mill J.S., “La natura” in Saggi sulla religione, Feltrinelli, Milano, 1987
Nave L., Più logica per tutti. L’argomentazione e la filosofia nella vita quotidiana, Mimesis, Milano-Udine, 2018
Popper K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino, Milano, 2009
Luca Nave, Presidente di Pragma. Società Professionisti Pratiche Filosofiche, Direttore della Scuola Pragma di Milano e della Rivista Italiana di Counseling Filosofico.
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