Le origini della praxis
Il movimento internazionale delle Pratiche Filosofiche nasce nel 1982 con la fondazione della
Internationale Gesellschaft für Philosophische Praxis di cui Gerd Achenbach ricopre il ruolo di Presidente. Il termine Praxis, associato a Philosophische, rimanda alla dimensione “pratica” della filosofia ma anche allo “studio professionale” del filosofo che offre una consulenza al cliente che ne fa richiesta (come lo studio del medico, del notaio o dell’avvocato).
Uno dei primi problemi che è stato necessario affrontare in vista della diffusione della disciplina a livello internazionale riguardava la traduzione dell’espressione Philosophische Praxis, tradotta con Practice Philosophy, Philosophical Practicies, Philosophical Counseling, Consultoria Filosofica, Filosofia Applicada, asesoramiento filosófico, conseil philosophique, per citare i nomi principali.
La Philosophische Praxis giunge in Italia alla fine degli anni Novanta. Nel 1999 ha luogo la fondazione dell’Associazione Italiana di Counseling Filosofico (A.I.C.F.), che tuttavia ha vita breve. Viene sciolta già nel 2001 e, dalle diverse anime del gruppo originario, nascono la Società Italiana Counseling Filosofico (che ha chiuso i battenti del 2016) e Phronesis (Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica).
La pratica filosofica in Italia
In Italia la Philosophische Praxis ha assunto dunque due principali denominazioni: consulenza filosofica e counseling filosofico. Fin dal principio, nel nostro Paese, le diverse fazioni si sono contese la denominazione che meglio configurasse lo “spirito originario” della disciplina. Sono stati dibattiti piuttosto sterili, perché i protagonisti discutevano di una disciplina che per lo più non praticavano sul campo. Esprimevano una “teoresi” del Counseling-Consulenza Filosofica e mancavano totalmente le riflessioni fondamentali che solo l’esperienza sul campo può fornire a una filosofia che diventa realmente “pratica”.
Progressivamente, i counselor-consulenti filosofici hanno iniziato seriamente a tradurre la disciplina in una professione, con l’apertura di studi privati nei quali oggi offrono la propria consulenza e hanno iniziato a collaborare con le aziende, a lavorare negli ospedali, a condurre diverse attività nelle scuole e hanno raggiunto anche numerose realtà del sociale e nel contesto penitenziario.
Oggi Pragma, la Società dei Professionisti delle Pratiche Filosofiche, raccoglie “Consulenti Filosofici”, “Counselor Filosofici”, “Coach Filosofi”, “Psicofilosofi”, cioè professionisti che condividono l’idea di rendere pratica e operativa la filosofia attraverso i più disparati strumenti filosofici idonei a rendere efficace la propria professione.
Allo stato attuale dell’arte, il problema non è più il “nome della cosa” ma la sua declinazione operativa; si tratta cioè di mostrare come si manifesta, a livello professionale, la disciplina chiamata “Consulenza”, “Counseling”, “Coaching” filosofici o Psicofilosofia. Per troppo tempo la teoresi dei filosofi pratici “non professionisti” ha puntato sulle differenze tra queste denominazioni: oramai si è compreso che tali differenze si integrano nell’unità della professione e dell’agire in senso professionale. Ciò non significa annullare tutte le differenze tra gli approcci alla filosofia in pratica; piuttosto, si tratta di riconoscerle facendole però convogliare verso l’unità di una disciplina che diventa professione.
Requisiti minimi della professione
Occorre sottolineare che fare filosofia in pratica, in senso professionale, non significa tenere una lezione di filosofia, intrattenere un interlocutore-consultante o i gruppi con chiacchierate dal tono vagamente filosofico e nemmeno vuol dire fornire una “consolazione” per i mali del vivere e una spalla su cui piangere. Tenendo questo per fermo, le condizioni minime per poter parlare di una “Consulenza”, “Counseling” o “Coaching” filosofici, valide per tutti gli orientamenti, sono:
– Il professionista deve disporre di una profonda e accurata conoscenza della storia della filosofia, dei principali orientamenti e degli strumenti cognitivi, etici, estetici ecc. da utilizzare nelle sessioni individuali, con le coppie o con i gruppi;
– la capacità di creare un “ambiente” (setting) adatto alla pratica della filosofia, che rimanda al possesso di competenze di natura comunicativa e relazionale che sappiano generare e mantenere nel tempo un buon rapport con chi si rivolge al filosofo pratico e usufruisce dei suoi servizi;
– il possesso da parte del professionista di saperi e competenze di natura interdisciplinare (problem solving, decision making, negoziazione, ecc.) per la gestione dei problemi che vengono presentati durante la consulenza: il filosofo non può affidarsi al solo buon senso e a uno stile improvvisato;
– il professionista deve conoscere i luoghi e gli ambiti di applicazione della filosofia in pratica e i loro specifici linguaggi: l’ospedale dove si parla medichese, l’azienda in cui regna il linguaggio e il sapere “tecnico-expertise”, la scuola, il carcere, perfino il bar o il locale (nel caso della filosofia mondana e dei Cafè-philo); la filosofia entra in-situazione ed è necessario penetrare nelle logiche che dominano i luoghi del con-filoso-fare.
Chi dispone di queste competenze minime e di una cassetta degli attrezzi con gli strumenti del suo lavoro – attinti dalla tradizione della filosofia, del Counseling o del Coaching – è un “Consulente”, “Counselor” o “Coach” filosofico professionista.
Coloro che si definiscono counselor o consulenti filosofici ma non possiedono una comprovata esperienza, competenza e formazione, per lo più utilizzano la filosofia come un hobby, degno e legittimo, ma di passatempo – e non di professione – si tratta. Vale la pena, a questo proposito, di invitare l’utente a verificare sempre l’iscrizione del consulente a cui si rivolge a uno specifico elenco professionale, che garantisca la reale e verificata formazione ed esperienza sul campo.
Luca Nave, Maddalena Bisollo
0 commenti