“L’emozione, ordinariamente considerata come un disordine senza legge, possiede un significato proprio, e non può essere colta in sé stessa senza la comprensione di questo significato”.
J.P. Sartre (1939, trad. 2004)
Alla luce della nostra ventennale esperienza nell’ambito della consulenza filosofica, nel counseling e nelle Pratiche Filosofiche, possiamo dichiarare di non aver mai incontrato una persona che chiedesse una consulenza per un’esigenza meramente intellettuale. I consultanti non si recano dal filosofo per apprendere il concetto di amore in Platone, la concezione del lavoro di Karl Marx o il concetto di angoscia elaborato da Sören Kierkegaard; si richiede piuttosto una consulenza filosofica perché si ha un problema con l’amore (non so se amo ancora mio marito, la mia fidanzata mi ha tradito, ecc.), si vive una situazione complicata nei luoghi di lavoro (odio il mio capo, i miei colleghi sono opportunisti, ecc.) oppure si sperimenta sulla propria pelle il sentimento d’angoscia descritto dal filosofo danese.
Nel corso delle consulenze si potrà certo giungere anche a parlare delle idee dei filosofi ma, nel momento in cui il filosofo incontra un consultante, egli deve possedere gli strumenti per accogliere il suo vissuto emotivo. Come sosteneva Seneca, occorre che il filosofo sia in grado di “sentire il polso” del suo interlocutore, che sappia sintonizzarsi sul ritmo del cuore.
Il problema di fondo è il seguente: il filosofo è stato tradizionalmente rappresentato come un pensatore con la testa tra le nuvole che, mentre osserva “il cielo stellato sopra di me”, cade in un pozzo suscitando l’ilarità delle persone che osservano la scena. Costui è attrezzato per diventare consulente o counselor e incontrare le emozioni di chi chiede il suo sostegno?
Senza dimestichezza con i sentimenti, la consulenza filosofica si rivelerebbe inefficace con chi si trova in preda a emozioni malsane. Come sosteneva già nel 2006 Umberto Galimberti “mentre per fare il filosofo basta una bella testa, per fare il consulente filosofico occorre, oltre a una bella testa, anche una bella pancia. Ci vuole anche una componente emotiva” (Aut Aut, n.332, 2006, p.65).
Il termine emozione, definito già nell’antichità come “passione” (dal latino pati e dal greco pathos), il “sentimento di vita impedita” (Foucault), viene spesso inteso come un “sommovimento dell’anima che proviene dal lato animale e irrazionale della natura umana; come semplice reazione corporea non intenzionale; come innata e non appresa, che non viene toccata da insegnamenti e argomentazioni” (Nussbaum, 1998).
Alla radice di questo concetto si trova l’idea che un soggetto soffre o subisce un cambiamento ma non è lui a produrlo e dargli inizio. Si dice di essere “presi”, “afferrati” o “lacerati” dalle emozioni, che accadono di per sé e in assenza della deliberazione del soggetto. La psicoanalisi classica conferma questa idea nella misura in cui la nostra mente sarebbe dominata da forze inconsce che sfuggono alla consapevolezza dell’individuo e che guidano e manipolano le emozioni (Freud, 1989).
In base al dualismo cartesiano l’essere umano sarebbe mosso da due istanze fondamentali: da una parte la “ragione” (razionale, intenzionale, consapevole, ecc.), dall’altra l’emozione (irrazionale, inconscia, pulsionale, ecc.). Il soggetto coinvolto in una determinata situazione esistenziale incontra oggetti o altri soggetti che hanno la capacità di far sorgere le emozioni, che non dipendono dal soggetto stesso ma da ciò che accade nel mondo. Vedo un orso che mi viene incontro e sorge la paura, osservo un’ingiustizia e mi sale la rabbia, oppure ottengo la laurea è provo tanta gioia. L’emozione dipenderebbe dall’oggetto mentre il soggetto è costretto a subirla. Alla luce del dualismo ragione-emozione e soggetto-oggetto, l’ambito di intervento della filosofia riguarderebbe il “razionale”, mentre la sfera emotiva apparterrebbe alla psicologia o alla psichiatria.
Se si supera il dualismo cartesiano nella direzione tracciata dalla fenomenologia, dalle neuroscienze e dagli studi sull’ “intelligenza emotiva”, si scopre che non è la semplice presenza di un oggetto a scatenare le nostre emozioni ma piuttosto il modo in cui lo valutiamo e ciò che pensiamo di esso. Il pensiero e la valutazione sono funzionali all’insorgere delle emozioni, che possono essere considerate “idee della nostra mente, provenienti sia dalle percezioni sia dalle riflessioni” (Locke, 1996). “Un’emozione è messa in movimento da una percezione […] ma è un certo modo di intendere il mondo”. La liberazione da un’emozione malsana può venire solo “dalla purificazione della riflessione oppure dalla totale scomparsa della circostanza emozionante” (Sartre, 2004).
Platone nella Repubblica sostiene che possiamo provare la paura e la tristezza perché abbiamo un’emozione di un certo tipo, dal credere cioè che sia avvenuto o stia per avvenire qualcosa di terribile e inevitabile. Epitteto ammette che “gli esseri umani sono agitati e turbati non dalle cose ma dai pensieri sulle cose” (1967). Per gli stoici la ragione e l’emozione non sono due processi separati ma sono la stessa cosa. Le emozioni malsane sono pensieri “disturbati” e disfunzionali rispetto alla vita del soggetto perché mancano di alcune qualità epistemiche “razionali” (pensieri senza giustificazione, bias, euristiche, fallacie, ecc.).
È allora possibile intervenire sul vissuto emotivo del soggetto attraverso una terapia “noetica” (nòus, cioè intelletto): il consulente filosofico accoglie e gestisce le emozioni del consultante rivolgendo la propria attenzione proprio alle credenze, ai giudizi, alle opinioni e ai valori presenti nella sua visione del mondo e che possono talvolta sfuggire alla consapevolezza del soggetto.
Con l’utilizzo di strumenti schiettamente filosofici quali, ad esempio, l’argomentazione e la retorica, il pensiero critico, l’identificazione e l’analisi dei biàs, euristiche e fallacie logiche, l’empatia quale capacità di “pensare i pensieri dell’altro e incarnarsi nella sua visione del mondo”, l’epochè, il dialogo e l’ascolto attivo, la consulenza filosofica ha il potere di aiutare il consultante in preda a una crisi emotiva in maniera alternativa e complementare rispetto alla psicoterapia e alle altre relazioni d’aiuto.
La Consulenza Filosofica ha la capacità di innestare nel consultante la consapevolezza che vivere certe emozioni piuttosto che altre non è un destino ma ha a che fare con l’accettazione di una particolare interpretazione della situazione esistenziale vissuta, in base a una certa visione del mondo che fa da sfondo silenzioso ai nostri pensieri, alle nostre reazioni e alle azioni. Così, per esempio, la morte di una persona cara è un fatto che può generare infinite sfumature emotive tra depressione, tristezza, rabbia e disgusto: d’altro canto, la reazione emotiva non dipende tanto dalla morte della persona cara in sé ma più profondamente dal senso e dal significato che il soggetto attribuisce alla relazione perduta e, in generale, a quel particolare evento luttuoso.
Questo esame filosofico delle visioni del mondo o “terapia delle idee” (Galimberti, 2004) genera nel consultante la consapevolezza che sia possibile liberarsi dall’essere schiavo di passioni inconsce e irrazionali che sono fuori dal suo controllo tramite la possibilità di analizzare e modificare i pensieri e i giudizi normativi disfunzionali che causano le emozioni malsane. Lo stesso Galimberti – nostro socio onorario – sostiene che “quel che ho imparato dalla pratica analitica è che molta gente sta male non solo perché ha avuto dei traumi, ma è malata perché ha delle idee sbagliate” (Aut Aut, n.332, 2006). In questo senso la consulenza filosofica è equipaggiata per aiutare a pensare meglio e quindi a stare meglio con la filosofia.
Al Master in Counseling Filosofico Pragma sono conseguentemente presenti moduli didattici con insegnamenti e pratiche filosofiche che riguardano l’intelligenza emotiva tra filosofia, psicologia e neuroscienze: la formazione è fondamentale affinché la filosofia non sia scambiata per un mero esercizio intellettuale né sia utilizzata in termini “difensivi” – ovvero come strumento razionale per allontanarsi dai problemi concreti anziché metterci le mani dentro. La consulenza filosofica va sempre intesa in termini relazionali e realmente comprensivi dell’altro che soffre e chiede sostegno.
Bibliografia.
Bisollo M., Nave L., Astraseneca. Il vaccino della filosofia, Pragma Society Books 2021
Bisollo M., Virus emotivo. La pandemia e le nostre emozioni, Pragma Society Books, 2021
Epitteto, Manuale, Mursia, Milano, 1967
Freud S., Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti, Bollati Boringhieri, Milano 1989
Galimberti, Se un filosofo ti prende in cura, La Repubblica, 2004
Locke J., Saggio sull’intelletto umano, UTET, Torino 1996
Nussbaum M., Terapia del desiderio, Vita e Pensiero, Milano 1998
Sartre J.P., Immaginazione: idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano 2004
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