Contesto: incontro di counseling filosofico tra un ipotetico cliente in veste del Marchese de Sade e il suo counselor.
Problema-provocazione: dilemma bene/male presentato al counselor, partendo da un illimitato sessuale come piano inclinato.
Argomentazione e sviluppo: la filosofa Marta Nussbaum nel suo libro Terapia del desiderio sottolinea come le emozioni, le passioni, i desideri e i sentimenti, abbiano come base d’appoggio la dimensione cognitiva e sono in stretta connessione alle convinzioni etiche, al sistema di credenze, ossia alla visione del mondo[1]di ognuno: “I sentimenti sono strettamente connessi con le credenze, e possono venire modificati modificando le credenze”[2]. Dunque, modificando con una solida argomentazione, le credenze, i sistemi di convinzioni, le visioni del mondo ―lo sfondo che regge il vissuto― si possono modificare le stesse emozioni e gli stessi desideri. Parafrasando Aristotele, giunge così a sottolineare l’importanza dell’educazione sui sentimenti: “I sentimenti […] devono venire educati e portati ad armonizzarsi vicendevolmente mediante una visione corretta di cosa sia la vita buona”[3].
Ammesso che ognuno di noi e il counselor nello specifico, sappia cosa sia una «vita buona», cioè sia consapevole del «bene», possiamo partire da qualche interrogativo che vorrebbe pensare la questione al contrario, pensare il contrario, ossia concedersi a quel desiderio sessuale che non sia «di vita» ma che abbia il sapore di morte, il contrario di «sesso», appunto. Cioè, se la paideiafilosofica, l’educazione dell’altro, che si presenta in questo contesto intrinsecamente annodata alla epimeleia heautou ―la cura di sé― fosse argomentata nella direzione di un illimitato sessuale? Alla sessualità dionisiaca? Se il cliente stesso argomentasse così la sua sessualità? Del resto, è sempre dell’altro che ha cura l’attenzione della pratica filosofica del counseling e sempre all’altro che la cura della parola è tesa, in un cammino di paideia, per vivere «in cura», di sé e dell’altro, dell’altro attraverso sé. Dunque un pungolo per quel counselor nell’«avere cura»di quel cliente-deSade.
Si tratterebbe quindi, sfiorando appena il pensiero di Sade, di avere a che fare con una trasformazione di Dio nella Natura, un riposizionare l’uomo nella natura, l’uomo con l’altro uomo e il desiderio sessuale nella drammaturgia della Natura stessa. Il desiderio sessuale rimarrebbe lo stesso? La sessualità «normale», comunemente intesa, non sarebbe solo un timido barlume, per giunta inconsistente, di fronte alla mole dell’illimitato sessuale? Di contro all’epicureo «desiderio vuoto», inappagabile[4], Sade ―il filosofo che provoca, l’ipotetico cliente― si pone dalla parte della Natura, facendo così da cassa di risonanza a Lucrezio[5], fino a ragionare sulle radicali conseguenze.
La visione del mondo del Marchese si presenta come un’organizzazione tanto complessa quanto profondamente razionale, dove i suoi personaggi rappresentano confini paradisiaci, violabili, ma mai seriamente conflittuali: “Il Cavaliere. Non è dallo spirito che vengono i rimorsi, essi sono i frutti del cuore. Dalmancé. Ma il cuore inganna, perché è sempre l’espressione di falsi calcoli dello spirito; maturate quest’ultimo, e l’altro cederà ben presto; falsi concetti ci ingannano sempre quando vogliamo ragionare”[6].
Già nel biblico Giardino delle Delizie si configura il problema per l’Uomo e per la Donna di poter scegliere cosa sia il bene e il male. Il nome della pianta dei frutti proibiti mostra che non era un segreto, lo sapevano benissimo quale fosse la posta in gioco. Ma ci volle un aiuto seducente. Sade ripropone, in qualche modo, l’atavico dilemma: Dalmancé parla a Eugénie, come il serpente parla alla Donna.
Il dilemma originario-originante tra bene e male si gioca annichilendo Dio in favore della Natura e da qui coinvolgendo una sessualità illimitata nella dinamica perpetua e radicale delle trasformazioni organiche e cicliche naturali, vita-morte-vita: con gentile concessione all’uomo, però, del piacere illimitato del sesso.
In Sadel’attrazione della donna per il Diavolo è forte: “Finora mi sono concessa soltanto a te per compiacenza, […], oggi solo il desiderio…C’è una bella differenza tra quello che ho fatto e quello che farò, e voglio conoscerla”[7]. Per la Donna la conoscenza datale da Adamo non rappresenta una vera conoscenza, ma una compiacenza: il pene non è il serpente. La conoscenza biblica, d’altra parte, non è un’autentica conoscenza senza il contributo del Diavolo, la potenza che il desiderio non può misconoscere, la differenza assoluta che permette l’autenticità, l’abisso che non si vuole comprendere, le profondità della terra, della natura, del corpo, mitologia e potenza di Dioniso.
Il-limitato e in-finito, due termini intrecciati nel cammino del linguaggio e possiamo dire, con De Saussure, il significato di un dialogo fra le stesse parole. Il desiderio, in quanto senso della mancanza, è fenomenologia dell’infinito, il quale tuttavia non si risolve in un «non mi basta», ma assume invece il valore positivo di una spinta. Questa, d’altra parte, è una spinta verso il toglimento della mancanza, del «non» cioè, un tendere verso l’appagamento, quindi la fine del desiderio: «mi basta». Il valore positivo di spinta del desiderio è dunque una negazione del suo infinito. Il desiderio in quanto tale vuole l’appagamento e dunque vuole la sua fine.
In verità le cose sono più complesse. Nel suo movimento, il desiderio intenziona il suo oggetto, al quale chiede però di prolungare la tensione e in fondo di non esaurirla mai. Eugeniéalla Signora: “Ma perché tutti questi specchi?”. Risposta: “Perché, ripetendo i gesti in mille prospettive diverse, moltiplicano all’infinito gli stessi piaceri”[8]. Il desiderio sessuale prende dunque senso dall’infinito e chiama a sé il principio del «differimento infinito della fine». Il desiderio, così compreso, non è il desiderio in quanto tale, ma un modo del desiderio. Il desiderio che è differimento infinito, è desiderio illimitato: un non ammettere limiti o limitazioni al potenzialmente infinito naturale, disponibile.
L’illimitato è una continua e infinita conquista. È in questo senso che si ripropone in tutta la sua complessità ragionata. L’illimitato è l’intelligenza stessa del desiderio agente in noi per natura. Come l’infinito ne è la volontà, l’illimitato ne è l’intelletto. Mentre l’infinito desiderio è atto positivo, ossia il «non mi basta» ricondotto al suo appagamento, l’illimitato desiderio è atto negativo, continua negazione di ogni possibile conquista, affermazione di sé come seduzione vittoriosa. L’illimitato è ciò che sostiene la tensione, mentre l’infinito è ciò che riduce le conquiste a semplici battaglie.
Morale: tanto più il desiderio sessuale gioca la danza infinita dei corpi, quanto più il suo appagamento illimitato è gioco dionisiaco di un piacere concesso… C’è però sempre lo sguardo di Dioniso che, strizzato l’occhio, ci chiede: ma il dilemma dell’inizio?
La forza del discorso del divin Marchese consiste nel suo saper mostrare la verità che il desiderio sessuale illimitato porta nel mondo, cioè, che vi è la possibilità di un perfetto rovesciamento ossia, l’effetto che le cose hanno su di noi è perfettamente rovesciabile nel suo opposto senza che ciò dia adito ad alcuna contraddizione intrinseca. La stessa posizione supportata da Sade è perfettamente rappresentabile. Si può così dire che il serpente aveva dunque ragione nell’affermare che Dio ingannava l’uomo o comunque, che Dio era nelle stesse possibilità di ingannare l’uomo almeno quanto lo era il Diavolo: “il serpente sta per schizzare il suo veleno”[9]. E il dilemma bene/male si agita ancora, nel gioco un po’ goliardico e un po’ seduttore del Marchese de Sade.
OPERE CONSIDERATE
Martha Nussbaum, Terapia del desiderio. Teoria e pratica nell’etica ellenistica, 3°ed. 2018, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1998.
Donatien-Alphonse-François, de Sade, La filosofia nel boudoir, a cura di Caruso Paolo, in Opere, Mondadori, Milano, I° ed. 1976.
[1] Cfr., Marta Nussbaum, Terapia del desiderio, p.44.
[2] Id., p.89.
[3] Id., p.102.
[4] Id., p.121.
[5]Scrive Lucrezio nel suo poema: “Serve materia a che crescano venture generazioni” (III, 967-971). Cit. in Marta Nussbaum, op.cit., p.235.
[6] D.A.F. De Sade, Filosofia nel boudour, p.210.
[7] Id., p.30.
[8] Id., p.47.
[9] Id., p.122.
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