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“E io non pago”. Si-vax, no-vax e i costi delle cure. Di Luca Nave

Nel dibattito tra si-vax, no-vax e non-so-vax, già da tempo circola la tesi di far pagare ai no-vax le spese per il ricovero nel caso in cui si ammalino di Covid. Alessio D’Amato, Assessore Sanità Lazio, dichiara che “tra i ricoverati abbiamo il 92% che non si è vaccinato”, quindi nella sua Regione, “se finiscono in terapia intensiva, i no vax si dovranno pagare il ricovero”. La stima della retta giornaliera è di 1500 euro circa. Anche gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, su Repubblica, sostengono che chi si sottrae all’obbligo vaccinale deve pagare, mentre il virologo Sergio Abrignani paragona i no-vax agli evasori fiscali che “beneficiano di qualcosa che non pagano” (Fatto quotidiano, 1/9/2021).

A sostegno di quella tesi, sui social network circola la nota teoria economica del “pasto gratis” (Friedman, 1975). La formula sostiene che non esistono pasti gratis, o meglio, che si può mangiare gratis solo se qualcun altro paga il pasto. La teoria ha un significato che trascende il campo economico e si applica a tutte le situazioni in cui un individuo sfrutta in modo opportunistico i vantaggi della cooperazione sociale senza pagarne i costi. Nel caso dei no-vax, essi godrebbero del privilegio di non vaccinarsi alle spalle di tutti coloro che lo fanno. Il loro è un illegittimo pasto gratis a discapito della comunità.

La tesi di far pagare ai no-vax le spese per il ricovero scatena i mostri sia tra i si-vax sia tra i  no-vax. Si reclama a gran voce l’articolo 32 della Costituzione italiana che sancisce il diritto alla salute di tutti i cittadini. Il principio base della sanità pubblica è che le persone malate vanno curate, indipendentemente dal loro comportamento, dalle loro abitudini e dalla loro visione del mondo.

Ovviamente, quando si tira fuori dal cilindro la parola “diritto” è come giocare l’asso di briscola (Dworkin, 1982): è facile vincere la mano. Il diritto ha una valenza emotiva tanto potente da arrestare il dibattito.

Ora, nel prendere in considerazione la tesi di far pagare ai no-vax le spese per il ricovero non è nostra intenzione mettere in discussione il sacrosanto diritto alla salute sancito dall’articolo 32, ma domandare piuttosto se sia davvero una tesi assurda, come è stata da più parti bollata. Assurda in tutti i mondi possibili?

Per analizzare gli argomenti a sostegno della tesi di far pagare ai no-vax le spese del ricovero, è possibile prendere avvio dal concetto di libertà, parola d’ordine dei cortei no-vax, insieme al grido “dittatura” e “Norimberga” (luoghi di assenza assoluta di libertà). La parola libertà è un giano bifronte che si presta a essere strumentalizzata, insieme al termine “diritto”. Di quale libertà stiamo parlando?

Dal momento che viviamo in una società liberale e democratica non possiamo parlare della libertà come libero arbitrio. Se ognuno facesse quello che vuole senza rispettare le leggi e le regole che la società si è data – e che limitano la libertà individuale – si scatenerebbe una guerra di tutti contro tutti. Nel momento in cui si istituisce lo Stato – il contratto sociale – è necessario rinunciare a una parte della propria libertà “animalesca” (homo homini lupus) in favore del bene della comunità. Le leggi e le regole limitano il libero arbitrio (libertas minor) in nome di una libertà maggiore, duratura e collettiva (libertas major).

Il problema perenne del contratto che si istituisce tra lo Stato e i cittadini è stabilire il limite dell’azione statale, fissare cioè il grado legittimo dell’intervento dello Stato nelle vite individuali e della richiesta, rivolta al cittadino, di rinunciare alla propria libertà.

“Il principio – scrive John Stuart Mill – è che l’umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà d’azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. […] Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano” (2004, p. 67).

La legittimità dell’intervento dello Stato nel limitare la libertà individuale è determinata dalla quantità e dalla qualità del danno prodotto dal singolo contro lo Stato e i suoi cittadini. In merito alla tesi in discussione, si tratta di stabilire quanto e come la libertà dei no-vax di non vaccinarsi sia dannosa per la società. La comunità scientifica internazionale e i governi nazionali hanno affermato che il danno è elevato per diversi ordini di fattori, quali, ad esempio, la maggiore trasmissibilità del virus, il forte rischio dei no-vax di finire in terapia intensiva togliendo posti letto ai malati non covid o aumentando la spesa pubblica, il rischio di non raggiungere la famigerata immunità di gregge e per altri motivi che non riportiamo.

Se si mettono in discussione i dati della comunità scientifica che stanno a fondamento delle azioni degli Stati diretti a limitare la libertà individuale – il sapere che c’è dietro al potere – si ritiene illegittimo l’intervento statale, perché non si condivide la misura del danno. Da qui il grido “libertà” ai cortei no-vax, popolati da persone che non condividono i dati ufficiali (“è un complotto di Bill Gates!”) né, di conseguenza, le azioni di contenimento del virus della società, come il green pass. E così, si dichiarano “fuori” dalla comunità: si crea immediatamente la dicotomia, che esplode sui social network, tra i “noi” (illuminati, ribelli, anarchici ecc.) e i “voi” (i sudditi del sistema, gli ignoranti, gli illusi, ecc.), o tra chi mangia “dentro” e “fuori” dalla mensa aziendale, tra chi va al cinema, allo stadio, sul treno, e chi non ci può andare (se non con il tampone). Le dicotomie generano la guerra: non si agisce con l’altro ma contro l’altro.

Il problema è cosa fare con chi non rispetta il potere sovrano dello Stato di limitare la libertà individuale in base alle decisioni intraprese dagli organi istituzionali rappresentativi di tutti i cittadini. Qui nasce il gravoso problema, sospeso tra la giurisprudenza e la morale, della pena o sanzione per chi non rispetta le leggi e le norme dello Stato, che in questa situazione è complicato dal fatto che lo Stato non ha stabilito l’obbligo vaccinale e del green pass ma ha semplicemente raccomandato ai cittadini di vaccinarsi per il bene di tutti.

Il potere coercitivo dello Stato non riguarda dunque la sfera giuridica ma la sfera morale: non impone cioè per legge un obbligo con relativa sanzione per chi non lo rispetta ma si appella alla coscienza, al buon senso o alla morale personale dei cittadini con l’auspicio che essi agiscano in vista del bene comune. E se nella sfera del diritto la pena per chi non rispetta la legge è “chiara e distinta”, la pena comminata dalla morale riguarda solo la coscienza del singolo, il biasimo o la disapprovazione sociale.

In questo caso specifico la pena morale comporta anche dei fastidi per coloro che non ascoltano l’appello alla vaccinazione, ovvero la necessità di fare i tamponi per entrare nei locali pubblici e usufruire dei servizi dello Stato (come l’accesso in ospedale).

E qui arriviamo alla tesi di far pagare ai no-vax le cure. Dal momento che i no-vax si dichiarano “fuori” dallo Stato sovrano, non condividono l’entità del danno e non rispettano le norme o le raccomandazioni dello Stato dirette al bene comune, per logica conseguenza morale, o per coerenza, se vogliamo, dovrebbero essere loro a rinunciare alle cure del servizio pubblico rispetto al quale si dichiarano “fuori”.

Chi non condivide i dati e le pratiche preventive e terapeutiche della medicina e della sanità pubblica e non si adopera per il bene comune quando è sano, per quale strana logica dovrebbe cambiare idea quando è in procinto del ricovero e magari dell’ingresso in terapia intensiva? Il web è pieno zeppo di appelli di no-vax “pentiti”. Visto che anche in assenza di coerenza logica il no-vax in crisi respiratoria cambierà idea (l’istinto di sopravvivenza spesso è più forte dell’ideologia), la sua coscienza morale dovrebbe imporgli, o almeno suggerirgli, la necessità di contribuire a sanare il danno che ha creato alla società, con l’esborso di risorse proprie affinché non sia un peso per quella società dalla quale si era estraniato.

Le proposte dei politici e degli economisti evocate in apertura andrebbero riformulate da un’altra prospettiva. Lo Stato, in assenza del potere coercitivo del diritto, non può costringere i no-vax a pagare le cure in caso di ricovero; potrebbe solamente rivolgere un appello alla coscienza del singolo soggetto morale, che dovrebbe rispondere a questo appello in maniera responsabile. La responsabilità darebbe un fondamento morale alla libertà di non vaccinarsi che si grida nei cortei, la responsabilità cioè dell’agente morale, in coerenza con il suo essere “fuori” dalla società e il suo  agire contro il bene comune, di rinunciare a usufruire di un servizio pubblico reso possibile da quelli che sono “dentro” la società e che hanno pagato un prezzo per restarci e per farla funzionare.

In un mondo fatto così, al posto del green pass si richiederebbe un’autocertificazione in cui si dichiara di rinunciare al diritto costituzionale di accesso ai servizi del sistema sanitario nazionale in caso di ricovero ospedaliero. Una conclusione più soft, e meno radicale, fa appello al fattore emergenza o allo stato di necessità, nel senso che se tornasse a presentarsi il problema della carenza di posti letto in terapia intensiva dovrebbe almeno avere la precedenza chi è sempre stato dentro la società e ha agito per il bene comune rispetto a chi si è dichiarato fuori da essa.

Servirebbe molto più spazio per argomentare e contro-argomentare la tesi messa in trattazione ma da quanto ammesso essa non è così assurda come sembra perché gli argomenti che la sostengono hanno una coerenza logica e morale in un certo mondo possibile. Questo non vuol dire che sia fattibile qui e ora; sarebbe possibile solo in una società in cui nessuno vuole mangiare gratis, perché popolata da agenti morali con un alto senso di responsabilità. Ma in questa società non ci sarebbero si-vax e no-vax ma cittadini che, insieme, agiscono in vista del bene comune e quindi il problema del “pasto gratis” non si creerebbe nemmeno.

 

 Articolo di Luca Nave

 

Bibliografia

Dworkin R., I diritti presi sul serio, Il Mulino, Bologna 1982

Friedman M., There’s No Such Thing as a Free Lunch, Chicago, Open Court, 1975

Mill J.S., Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 2004

Nave L., Più logica per tutti. L’argomentazione e la filosofia nella vita quotidiana, Mimesis, Milano, 2018

 

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