La Filosofia Clinica è una disciplina teorica e una relazione di aiuto che comprende abilità, competenze e strumenti di natura comunicativo-relazionale e utilizza saperi e metodologie d’indagine della filosofia. Si situa all’interno del movimento internazionale delle Pratiche Filosofiche e rientra tra le discipline che intendono consentire ai filosofi di tornare a fare il loro antico mestiere, ovvero a prendersi cura delle persone.
Quando è nata.
La filosofia clinica nasce alle origini della filosofia occidentale nella sua antica alleanza con la medicina. Nei tempi antichi la filosofia non era una semplice forma di “sapere” e non ambiva alla mera costruzione di un sistema teoretico, ma era un modus vivendi, “un’arte o una condotta di vita che mirava a formare gli animi piuttosto che a informarli”, una “terapia delle passioni con valore psicagogico e formativo elaborata al fine di trasformare la vita e la visione del mondo di chi si esercita e la pratica, implicando di conseguenza una metamorfosi della sua intera personalità e del suo essere nel mondo” (Pierre Hadot, Esercizi Spirituali e filosofia antica).
L’antica alleanza tra la medicina e la filosofia: la lotta contro il Pathos.
La filosofia occidentale non nasce come pura teoresi con scopi teorici o teoretici ma come “pratica sociale”, con il fondamentale obiettivo di prendersi cura dei “mali dell’anima”, come la medicina si prendeva cura dei mali del corpo.
Plutarco di Cheronea (De tuenda sanitate praecepta) scrive infatti che in origine filosofia e medicina “hanno un solo e identico campo […]: il loro elemento centrale è il pathos, ossia il ‘sentimento di vita impedita’ che sorge innanzi alla sofferenza generata dalla sensazione di dover subire la malattia del corpo e dall’impotenza dell’ignoranza e delle altre passioni che generano la sofferenza dell’anima”.
Il concetto di pathos, ammette Michel Foucault commentando il passo di Plutarco, “si applica altrettanto bene alla passione e alla malattia fisica, alle alterazioni del corpo e ai moti involontari dell’anima e si riferisce a uno stato di passività che, per il corpo assume la forma di un’affezione che altera l’equilibrio dei suoi umori e delle sue proprietà e, per l’anima, di un movimento capace di obnubilarla suo malgrado”.
“È vuoto – conferma Epicuro – il discorso di quel filosofo che non riesca a guarire alcuna sofferenza (pathos) dell’uomo: come non abbiamo alcun bisogno della medicina se essa non riesca a espellere dal nostro corpo le malattie, così non abbiamo alcuna utilità dalla filosofia se essa non serva a scacciare le sofferenze dell’anima” (2010, p. 121).
Plutarco di Cheronea (De tuenda sanitate praecepta) scrive infatti che in origine filosofia e medicina “hanno un solo e identico campo […]: il loro elemento centrale è il pathos, ossia il ‘sentimento di vita impedita’ che sorge innanzi alla sofferenza generata dalla sensazione di dover subire la malattia del corpo e dall’impotenza dell’ignoranza e delle altre passioni che generano la sofferenza dell’anima”.
Il concetto di pathos, ammette Michel Foucault commentando il passo di Plutarco, “si applica altrettanto bene alla passione e alla malattia fisica, alle alterazioni del corpo e ai moti involontari dell’anima e si riferisce a uno stato di passività che, per il corpo assume la forma di un’affezione che altera l’equilibrio dei suoi umori e delle sue proprietà e, per l’anima, di un movimento capace di obnubilarla suo malgrado”.
“È vuoto – conferma Epicuro – il discorso di quel filosofo che non riesca a guarire alcuna sofferenza (pathos) dell’uomo: come non abbiamo alcun bisogno della medicina se essa non riesca a espellere dal nostro corpo le malattie, così non abbiamo alcuna utilità dalla filosofia se essa non serva a scacciare le sofferenze dell’anima” (2010, p. 121).
I primi psicoterapeuti della storia sono i filosofi!
E così, più di venti secoli prima della nascita della psicologia clinica e della psicanalisi, i filosofi erano psico-terapeuti, letteralmente, offrivano una “terapia” per la “psiche”. Il sofista Antifronte di Atene è il primo psicoterapeuta nella storia dell’Occidente. A sentire Plutarco, aveva elaborato “un’arte del non soffrire, cioè una cura come quella che i medici prescrivono agli ammalati; messo su un ambulatorio a Corinto accanto alla piazza, annunciò che egli riusciva con le parole a curare gli afflitti e, sentite le cause del male, confortava i sofferenti”.
La dimensione “terapeutica” della filosofia è andata disperdendosi durante il Medioevo e poi in Età Moderna, con il suo ingresso dapprima nei monasteri, nelle vesti della servetta della teologia, poi negli ambienti delle Università, dove “professori formano professori e professionisti formano professionisti, con un insegnamento che non si rivolge più a uomini che si intende formare affinché siano uomini, ma a specialisti perché imparino a formare altri specialisti, secondo i dettami e i pericoli della filosofia scolastica” (P. Hadot).
Mali dell’anima e patologie della psiche.
La Filosofia Clinica, pur facendo tesoro del sapere teorico e teoretico sviluppato nelle “Accademie del pensiero” con le quali intrattiene una fitta “corrispondenza”, eredita l’antica vocazione della filosofia come “terapia dei mali dell’anima”, che oggi hanno mutato aspetto, forma e sostanza rispetto all’antichità. Oggi il termine “anima” è scientificamente demodé, è più efficace parlare di psiche, mente, personalità, coscienza e cervello. Oggi le antiche “malattie dell’anima” si chiamano “patologie della psiche” o “disturbi della personalità”: c’è il Manuale Diagnostico e Statistico che le classifica, tecniche di brain immagine che le localizzano e gli specialisti della psiche che le curano in maniera scientifica.
Per una terapia filosofica delle idee.
La Filosofia Clinica nasce dalla consapevolezza che non tutti i “mali dell’anima” sono patologie della psiche o disturbi della personalità. Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, tra i maggiori sostenitori in Italia della valenza terapeutica della filosofia nel contesto della società quotidiana, scrive che le nostre sofferenze psichiche e i nostri disagi esistenziali non sempre dipendono da presunte disfunzioni neuro-bio-chimiche (come vuole la psichiatria cosiddetta organicistico-naturalistica) o da conflitti interni, traumi remoti o coazioni a ripetere esperienze antiche e in noi consolidate (come vuole la psicanalisi) ma, il più delle volte, nascono dalla modalità del nostro stesso essere-nel-mondo, dalla nostra visionedel mondo che, qualora troppo limitata, angusta, sclerotizzata e irriflessa, non ci consente di comprendere e realizzare il nostro progettoesistenziale, e ciò può generare i sintomi tipici di certe “malattie” della psiche o disturbi della personalità. E aggiunge, in conclusione: “Se questa seconda ipotesi è vera, perché non prendere in considerazione una terapia filosofica delle idee?” (Se un filosofo ti prende in cura, 2004).
La Filosofia Clinica è (anche) una “terapia filosofica delle idee”.
La Filosofia Clinica è (anche) una “terapia filosofica delle idee”.
Quale Filosofia per la Clinica?
Una domanda: come possono i filosofi, personaggi notoriamente reclusi tra le mura accademiche e per lo più occupati ad affrontare questioni astratte in testi voluminosi e notoriamente inaccessibili ai più, aiutare, in senso clinico, le persone che si presentano affrante da sentimenti di ansia, angoscia o tristezza cosmica, per lo più derivanti dalla propria incapacità di venire in chiaro con se stesse e dunque di reperire un senso e un significato della propria esistenza nel mondo?
Resta forte l’idea che la filosofia sia una disciplina astratta, teorica, tecnica, concettuale, difficile e, comunque, assai distante dal mondo vero, vivo e concretamente reale all’interno del quale si ricerca il senso e significato della propria vita. Si dice: “Mettete due filosofi a parlare in una stanza e presto non saranno d’accordo neanche di essere là”, mentre è assai radicata nell’immaginario comune la storiella di Talete, il primo filosofo che s’incrocia sui manuali di storia della filosofia occidentale che, assorto in astratti pensieri e nella contemplazione del cielo stellato, non si curava della terra sulla quale poggiava i piedi e finì sul fondo di un pozzo, suscitando l’ilarità della servetta di Tracia che s’era goduta la comica scena. Talete è stato assunto quale immagine tipico-ideale del filosofo; e quindi richiediamo: personaggi completamente assorti nella contemplazione delle idee, cosa potranno mai dire per fare una terapia delle idee, per aiutare cioè le persone a trovare delle risposte alle questioni concretamente esistenziali che tormentano la propria esistenza nel mondo?
La risposta a tale questione passa necessariamente attraverso il ridimensionamento del pre-giudizio circa l’astrattezza della filosofia: si tratta di ridimensionare e non di smentire perché esso contiene una parte di verità. La filosofia può infatti veramente essere una disciplina elucubrante, concettuale e macchinosa che si occupa di questioni lontane dalla realtà quotidiana, ma esiste una dimensione della filosofia che ha una spiccata valenza pratica, curativa e terapeutica della condizione umana, già ben presente ai filosofi antichi.
Resta forte l’idea che la filosofia sia una disciplina astratta, teorica, tecnica, concettuale, difficile e, comunque, assai distante dal mondo vero, vivo e concretamente reale all’interno del quale si ricerca il senso e significato della propria vita. Si dice: “Mettete due filosofi a parlare in una stanza e presto non saranno d’accordo neanche di essere là”, mentre è assai radicata nell’immaginario comune la storiella di Talete, il primo filosofo che s’incrocia sui manuali di storia della filosofia occidentale che, assorto in astratti pensieri e nella contemplazione del cielo stellato, non si curava della terra sulla quale poggiava i piedi e finì sul fondo di un pozzo, suscitando l’ilarità della servetta di Tracia che s’era goduta la comica scena. Talete è stato assunto quale immagine tipico-ideale del filosofo; e quindi richiediamo: personaggi completamente assorti nella contemplazione delle idee, cosa potranno mai dire per fare una terapia delle idee, per aiutare cioè le persone a trovare delle risposte alle questioni concretamente esistenziali che tormentano la propria esistenza nel mondo?
La risposta a tale questione passa necessariamente attraverso il ridimensionamento del pre-giudizio circa l’astrattezza della filosofia: si tratta di ridimensionare e non di smentire perché esso contiene una parte di verità. La filosofia può infatti veramente essere una disciplina elucubrante, concettuale e macchinosa che si occupa di questioni lontane dalla realtà quotidiana, ma esiste una dimensione della filosofia che ha una spiccata valenza pratica, curativa e terapeutica della condizione umana, già ben presente ai filosofi antichi.
La Filosofia Clinica, erede di tale tradizione, intende la filosofia non come un sapere teorico-accademico-astratto che si rivolge solo a specialisti del sapere affinché formino altri specialisti, ma un sapere vitale rivoltoa tutti gli esseri umani pensanti spinti dalla necessità di trovare una risposta alle domande esistenziali poste dalla propria esistenza nel mondo, e da cui dipende il proprio modo di vivere con gli altri. Il vivere stesso può essere considerato come una lunga risposta alle domande fondamentali che riguardano ciò per cui vale la pena vivere, qual è il proprio posto nel mondo, che cosa si intendere fare della propria vita e circa le modalità attraverso cui costruire il proprio progetto esistenziale.
“Giudicare se la vita valga o no la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”, scriveva Albert Camus; nella società postmoderna, quando sempre più persone sembrano disorientate e in preda a profonde problematiche relazionali, decisionali, sentimentali, professionali derivanti dalla difficoltà di trovare risposte soddisfacenti a tali quesiti esistenziali, il filosofo clinico può rivelarsi un ottimo alleato per attuare una “chiarificazione” del proprio progetto esistenziale e per affrontare, in maniera alternativa rispetto agli approcci bio-tecno-medici, psico-terapeutici o psico-farmacologici, le sensazioni di ansia, angoscia e depressione esistenziale derivanti dalla mancata chiarezza di sé nel proprio mondo. Tale chiarimento esistenziale può avere valenze terapeutiche nella misura in cui la maggior parte dei disagi emotivi, delle sofferenze esistenziali e dei comportamenti mal-sani non sono automaticamente determinati da ciò che succede nel mondo, dagli eventi che si verificano dal contatto con le persone con le quali ci si relaziona né, tanto meno e solamente, da presunti squilibri neuro-bio-chimici o da conflitti pulsionali che hanno luogo nei meandri dell’inconscio. Il Mal-Essere esistenziale, il più delle volte, ha origine all’interno della propria rappresentazione, mappa o visione del mondo, dai pensieri, idee, credenze e valori che orientano la vita nel mondo con gli altri e che costituiscono la propria filosofia personale. “Tutti gli esseri umani pensanti hanno una filosofia”, scriveva Gramsci ereditando una lunga tradizione, ma si tratta di una filosofia per lo più spontanea, implicita e talvolta nient’affatto problematizzata ma che dirige e condiziona fortemente la propria esistenza nel mondo e il proprio modo di reagire agli eventi che accadono e nelle relazioni con gli altri.
Quale clinica per la filosofia?
Il termine clinico deriva dal verbo greco klinoe indica, etimologicamente, il rapportarsi all’uomo disteso, nel suo letto, a causa di una malattia. La pratica clinica fa riferimento all’attività che si svolge al letto del paziente. Il termine clinico valorizza il rapporto di cura “centrato sulla persona” considerato nella sua singolarità, nella concretezza del suo corpo e della sua storia personale.
La Filosofia assume una valenza “Clinica” quando il filosofo si rivolge alla persona sofferente nella sua singolarità (non al soggetto trascendentale) e offre pensieri, metodi e strumenti per analizzare la problematica situazione esistenziale in tutta la propria complessità, al fine di trovare insieme alla persona che incontra le vie di uscita e le risposte alle questioni che tediano la sua esistenza.
Il filosofo clinico dispone di strumenti per diagnosticare la sede del male dell’anima e per prendersi cura della persona sofferente. Ovviamente i termini “clinico”, ma anche “diagnosi”, “terapia” e “cura” non rivestono il medesimo significato che essi hanno nel contesto del paradigma della Bio-Tecno-Medicina e della Psicologia Clinica. Il filosofo non dispone di manuali (DSM) e di prove di efficacia (EBM) per diagnosticare “malattie” e somministrare terapie come fanno i medici e gli specialisti della psiche perché non incontra persone malate. I problemi esistenziali e i dilemmi morali che affronta con la persona che incontra non sono interpretati come sintomi di malattia bensì come manifestazioni di un mal-essere esistenziale generato in una situazione d’incertezza e di “non sapere” che suscita ansia, angoscia e altre emozioni malsane. I filosofi dell’esistenzialismo hanno illustrato il legame tra ansia o angoscia e senso del possibile o dell’impossibile per sé che, qualora non affrontate, possono trasformarsi in una vera e propria patologia. La filosofia clinica, da questo punto di vista, è preventiva rispetto all’insorgenza della malattia, del corpo (sintomi psico-somatici) e dell’anima (patologie della psiche e disturbi della personalità). Il filosofo clinico, in particolare negli ambienti medico-sanitari e socio-assistenziali, lavora sempre in equipe: non prende il posto dello psicologo clinico o dello psicoterapeuta perché, come sanno bene i professionisti che con i filosofi clinici lavorano, fa semplicemente un’altra professione.
Le competenze del filosofo clinico.
Visto che la filosofia clinica è una relazione d’aiuto rivolta alla persona, le competenze del professionista devono necessariamente essere interdisciplinari: oltre a una profonda conoscenza della filosofia deve possedere abilità e strumenti “comunicativo-relazionali” che gli consentano una corretta gestione del rapporto interpersonale che instaura con la persona che incontra nel suo lavoro clinico. Il filosofo qui non incontra libri e colleghi filosofi bensì persone “in carne e ossa”, per lo più afflitti da questioni esistenziali e dilemmi morali che devono affrontare e risolvere, magari prendendo decisioni difficili e dalle pesanti conseguenze in termini bio-psico-sociali. Le decisioni qui non vengono meditate, studiate e assunte al tavolino del filosofo ma insieme a una persona viva e vera, magari in preda all’agitazione e allo spaesamento emotivo. Qui non si può “non decidere” o rimandare troppo la decisione. Nella cassetta degli attrezzi del professionista, insieme ai saperi, metodi e strumenti della filosofia, devono esserci abilità e tecniche del Counseling, del Coaching, del Problem Solving, del Decision Making, della Negoziazione e di tutte quelle discipline che possono aiutare a costruire una comunicazione-relazione comprensiva ed empatica con la persona, così predisposta al filosofare. Empatia, Ascolto e Cura sono la quintessenza della Filosofia Clinica, che incarna nell’esistenza i pensieri che i filosofi hanno elaborato da un punto di vista teorico in venticinque secoli di tradizione, sulla quale poggiano le fondamenta tutte le moderne psicoterapie, tutte le varianti del Counseling e tutte le relazioni d’aiuto, con o senza riferimenti diretti alla Filosofia.
Chi è il filosofo clinico?
Il Filosofo Clinico è innanzitutto laureato in Filosofia. Gli altri professionisti possono disporre di competenze di Filosofia Clinica ma non si possono definire “Filosofo Clinico”. Possiede quindi una rigorosa formazione “teorica” in Filosofia, che utilizza nella sua pratica clinica. Non fa “teoresi” con il consultante ma offre le sue competenze filosofiche per affrontare e risolvere specifiche problematiche poste dall’esistenza alla singola persona. Proprio per questa sua natura, il Filosofo Clinico possiede anche un bagaglio di conoscenze e competenze di natura “interdisciplinare”. Il Filosofo Clinico lavora sempre in equipe con il medico, lo psicologo e altri professionisti della cura in contesti medico-sanitari. Ha un’esperienza professionale del mondo “clinico” (ospedaliero o socio-assistenziale) e conosce i meccanismi cognitivi ed emotivi che lo muovono.
La filosofia clinica nel mondo.
L’espressione “Filosofia Clinica” (in tedesco: klinische Philosophie in francese: Philosophie Clinique, in inglese: Clinical Philosophy) è stata coniata da Hilarion Petzold nel 1971 [1] [2]; nel 1973 James Elliott inaugura il primo US Institute of Clinical Philosophy, e nel giro di pochi anni la disciplina si diffonde in tutto il mondo, dall’Europa al Giappone (cfr Kiyokazu Washida, Università di Osaka).
Tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso la Filosofia Clinica incrocia le proprie sorti con la Philosophische Praxis (Achenbach), con il Philosophical Counseling (Marinoff e Raabe), con il movimento delle Philosophical Practice (Lahav), con la Pratique Philosophique (Sautet) e con le altre incarnazioni dell’idea di rendere la filosofia una pratica, operativa e terapeutica della condizione umana. La prima grande sistematizzazione della Filosofia Clinica nella sua specificità rispetto alle altre varianti della “filosofia in pratica” è stata fornita da Lúcio Packter, fondatore, nel 2008, della Associação Nacional de Filósofos Clínicosin Brasile. Per una presentazione dell’approccio di Packter rimandiamo all’ottimo articolo di Francesco Di Palo, che ha anche tradotto una parte del manuale di Filosofia Clinica del filosofo brasiliano.
Se, da una parte, la Filosofia Clinica si inserisce all’interno del movimento internazionale delle Pratiche Filosofiche, dall’altra possiede specifiche caratteristiche e qualità che contraddistinguono il Filosofo Clinico dagli altri professionisti, in ambito filosofico e nelle relazioni d’aiuto in generale. Dispone di rigorose metodologie filosofiche di intervento – di natura logica, argomentativa, etica, epistemologica, estetica – che consentono di prendere le distanze da forme di consulenza filosofiche che si ispirano all’assenza di metodologia proposta, ad esempio, da Gerd Achenbach ed epigoni. Solo una rigorosa formazione e il possesso di metodologia nella cassetta degli attrezzi del Professionista, garantisco l’efficacia di una consulenza di filosofia clinica, che non è una mai una mera chiacchierata in compagnia del filosofo o foriera di consigli fondati sul senso comune o il famigerato buon senso filosofico, soprattutto con persone in preda alla sofferenza chiamate a prendere decisioni importanti che coinvolgono la vita, la morte e la cura di sé e dei propri cari.
La Filosofia C linica in Italia.
La Filosofia Clinica è diffusa in tutto il mondo. In Italia è stata importata anche da Spazio Filosofante che nel 2008 ha inaugurato il primo Ambulatorio di Filosofia Clinica, oltre ad aver istituito una commissione impegnata a studiare i fondamenti teorici e clinici della disciplina. La commissione è formata da filosofi, ma anche da psicologi, medici, esperti in bioetica e biodiritto da anni impegnati nelle Pratiche Filosofiche nelle varie declinazioni: Counseling, Consulenza, Coaching Filosofici, Psico-filosofia ecc. in ambito professionale.
Il lavoro della Commissione ha prodotto questo documento, che fornisce una prima caratterizzazione della Filosofia Clinica In Italia.
Bibliografia essenziale.
Arrigoni F., Nave L., Come in cielo così in terra. La cura tra medicina, filosofia e scienze umane, Unicopoli, Milano, 2013
D’Angelo M., “Filosofia Clinica” in Nave L., Pontremoli P., Zamarchi E. (a cura di), Dizionario del Counseling Filosofico e delle Pratiche filosofiche, Mimesis, Milano, 2013
Di Paolo F., “Filosofia Clinica”, https://francescodipalo.wordpress.com/2015/01/15/filosofia-clinica/, 2015 (consultato il 07/04/2019)
Galimberti U., “Se un filosofo ti prende in cura”, La Repubblica, 15 dicembre 2004
Koestenbaum P., The New Image of the Person: The Theory and Practice of Clinical Philosophy, Greenwood Pub Group, 1978
Hadot P., Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Einaudi, 1988
Nave L., “Clinica socratica. Il counseling filosofico quale filosofia ‘pratica’ della medicina”, in Rivista Italiana di Counseling Filosofico, n. 5, 2009
Nave L., Bisollo M., Filosofia del benessere. La cura dei pensieri e delle emozioni, Milano, Mimesis, 2010.
Packter L., “Filosofia Clinica”, www.filosofiaclinica.com.br , 1997 (consultato il 07/04/2019)
Petzold H.G., Philosophie Clinique, Thérapeutique philosophique, Philopraxie, Ins. Saint Denis, Parigi 1971
Autore.
Luca Nave, Presidente di Pragma. Società Professionisti Pratiche Filosofiche e fondatore di Spazio Filosofante. Dal 2005 lavora come filosofo clinico in diversi Enti e strutture ospedaliere della Rete Interregionale per le Malattie Rare del Piemonte e Valle D’Aosta. Docente a contratto di Bioetica Clinica presso il Master in Malattie Pediatriche Complesse, Università degli Studi di Torino. Coordina il Centro di Ascolto Incont-Rare (Ospedale Giovanni Bosco, Torino) e della Federazione Malattie Rare Infantili Onlus. www.spaziofilosofante.com
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