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NON LEGGIAMO AI BAMBINI FAVOLE SUL CORONAVIRUS

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“Quando ci decideremo a mettere i bambini in compagnia degli uomini, invece che delle streghe, delle fate, degli orchi e dei lupi?”
U.Galimberti

Fin dal principio dell’emergenza sanitaria, sono stati creati brevi fiabe e piccoli racconti esplicativi per rendere “comprensibile” – così si dice – l’epidemia ai bambini.

Tutti questi racconti sono stati corredati da immagini precise del SarsCoV2, ritratto come un mostro simpatico e gentile, che si può tenere in mano, con cui si può giocare, che si può perfino intendere come un amico.

Solitamente, i raccontini intendono spiegare che cosa il coronavirus sia, le modalità di contagio, lo sviluppo della malattia e l’importanza di determinati sistemi di prevenzione.

Già da queste prime considerazioni, risulta evidente in questi racconti una contraddittorietà di fondo, che basterebbe da sola a indurci a smettere subito di usare questo strumento pedagogico.

Infatti, da un lato la favoletta vorrebbe far comprendere al pargolo la natura scientifica del virus, dall’altro lo rappresenta come un essere vivente dotato di una propria personalità. Eppure un virus non è che un’entità biologica con caratteristiche di parassita obbligato, che non è neppure propriamente corretto considerare una “forma di vita” e di certo non ha alcuna propria volontà.

Da una parte, s’intende mostrare come avvenga il contagio e rimarcare l’importanza del distanziamento sociale; dall’altra, il corona-mostriciattolo, stando alle illustrazioni, lo si può prendere in mano e accarezzare tranquillamente.

Questi raccontini, poi, vorrebbero far comprendere non solo la possibilità che il virus determini una patologia ma anche che tale patologia possa risultare mortale. Ovvero, ci si trova nell’imbarazzo di dover far dire a una favola ciò che le favole non vogliono mai dire: che potrebbe anche non esserci un lieto fine.

E in conclusione, infatti, nessuna di queste favolette contempla mai davvero la possibilità della morte.

In che modo tutto questo dovrebbe aiutare i bambini a leggere la realtà dell’emergenza? In che modo dovrebbe orientarli? Credo che già tanto sia se non si arrivi a produrre un danno.

I bambini vengono educati innanzitutto al medesimo antropomorfismo del virus cui sono soggetti anche gli adulti. Nella nostra società, in cui la scienza pretende un potere indiscusso sulla morte e sulla malattia, interpretiamo virus e batteri come nemici che sfidano apertamente l’umanità o, come amano titolare i giornali, “sono la Natura che si ribella”.

Il virus è agli occhi degli adulti un mostro dotato di personalità e intenzioni proprie: un essere che ci sfida apertamente, che vuole afferrarci e perfino ucciderci.

Così, non sappiamo fare di meglio per i nostri bambini che tradurre la nostra superstizione in una sua versione edulcorata e ammorbidita: un bel mostriciattolo colorato con gli occhi dolci che è arrivato all’improvviso a bussare alla nostra porta.

Un’immagine, questa, che è quanto di più ambiguo possa esistere.

I bambini respirano l’atmosfera emotiva che li circonda, avvertono perfettamente le ansie e le preoccupazioni adulte. Inoltre, l’isolamento che li chiude in casa ha ben poco a che fare con un pupazzetto coccoloso che sorride.

Non c’è cosa più deleteria dell’ambiguità, che – lungi dall’orientare nel mondo – , disorienta e stordisce. Non preserva certo dall’ansietà, ma la genera.

Inoltre, come affronteranno l’eventualità di una storia senza un lieto fine?

Il problema con le fiabe, come dice opportunamente Umberto Galimberti, è che intendono sempre “ridurre l’ansia, in modo da introdurre nella società ragazzi sicuri perché a suo tempo rassicurati, fiduciosi nella vita perché prima o poi qualche cacciatore verrà a liberarli dal ventre del lupo” (2003).

Che cosa accade se il cacciatore non viene? Se alla Bella Addormentata nel bosco non passa accanto alcun principe? Se nessuno trova la scarpetta di Cenerentola?

Le fiabe tengono lontani i bambini dalla realtà della vita, proiettati costantemente in un mondo lontano che non conosce dolori e fallimenti.

Certo, è bello volare con la fantasia. È bello poter evadere da una realtà difficile per raggiungere un mondo fatto di fate, di streghe, di folletti e di mostri verdi cicciottelli e sorridenti.

Allora, leggiamo pure ai nostri bambini altre fiabe e inventiamole per loro. Qualcosa che non abbia però a che vedere con l’educazione e la prevenzione delle malattie, ma con mondi fantasiosi al di là del mondo. Lo scopo sarà quello di fornire a loro – e a noi – un poco di sollievo da ciò che ci circonda e che la tv, il web e i giornali non cessano di ricordarci.

Tuttavia, vale la pena risparmiare i piccoli da una lettura distorta della realtà, attraverso ambigue storie di “virus gentili”. Con la scusa di volerli educare ad affrontare la malattia, li stiamo solo riempiendo di pericolose superstizioni.

Le storielle sul coronavirus, rassicuranti e a lieto fine, le stiamo raccontando a loro o a noi stessi? A chi servono davvero?

Oggi per parlare adeguatamente del coronavirus dovremmo affidarci al racconto dei nostri sentimenti reali, sviluppando la capacità ormai così rara di “mettere i bambini in compagnia degli uomini”, riavvicinandoli “a questa terra che, da che mondo e mondo, resta sempre l’unica che ci è data abitare” (Ivi).

I bambini non sono solo cuccioli da nutrire, da alloggiare e a cui togliere i problemi. Sono esseri umani e sono cittadini, proprio come noi: hanno dunque diritto a spiegazioni ragionevoli e a parole e sentimenti che li coinvolgano e li interpellino come tali.

Autrice: Maddalena Bisollo – www.maddalenabisollo.com 

Bibliografia:

Galimberti U., Idee. Il catalogo è questo, Feltrinelli, Milano, 2003.

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