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La paura dell’incertezza e la medicina. Federico E. Perozziello.

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Tempo che soffre e fa soffrire, tempo

che in un turbine chiaro porta fiori

misti a crudeli apparizioni, e ognuna

mentre ti chiedi che cos’è sparisce

rapida nella polvere e nel vento.

Il cammino è per luoghi noti

se non che fatti irreali

prefigurano l’esilio e la morte.

Tu che sei, io che sono divenuto

che m’aggiro in così ventoso spazio,

uomo dietro una traccia fine e debole.

 

È incredibile ch’io ti cerchi in questo

o in altro luogo della terra dove

è molto se possiamo riconoscerci.

Ma è ancora un’età, la mia,

che s’aspetta dagli altri

quello che è in noi oppure non esiste.

L’amore aiuta a vivere, a durare,

l’amore annulla e dà principio. E quando

chi soffre o langue spera, se anche spera,

che un soccorso s’annunci di lontano,

è in lui, un soffio basta a suscitarlo.

Questo ho imparato e dimenticato mille volte,

ora da te mi torna fatto chiaro,

ora prende vivezza e verità.

La mia pena è durare oltre quest’attimo.

 

Mario Luzi (1914-2005), Aprile-Amore


L’incertezza è una delle costanti dell’esistenza umana. Genera paura e una forma di timore profondi fin dal nascere della coscienza del sé, mentre il contesto sociale e ogni tipo di cultura sono predisposti per cancellarla oppure nasconderla. Se desiderassimo darne una definizione potremmo intendere per incertezza la presenza visibile, nei suoi effetti e nelle circostanze, del Caso nella vita delle persone. Questa entità antica è una forza generatrice di angoscia per limitare la quale l’umanità è ricorsa nel tempo a diverse modalità di controllo e di mascheramento. Il Caso è diventato un fattore di disturbo del vivere ordinato a cui si può sopperire, in un contesto che si proclami di tipo sociale ed etico, unicamente attraverso delle prescrizioni morali osservabili e che possono circoscrivere l’angoscia.

Senza questo aiuto e questo sostegno le certezze della vita vengono a cadere e il terrore del Nulla, che affiora qua e là, potrebbe prendere il sopravvento. La possibilità di un’esistenza priva dei conforti della religione e sostenuta unicamente dalla fiducia nel progresso ha aperto la porta a grandi illusioni ed a molte disillusioni. Dietro il termine Incertezza si nasconde qualcosa di inquietante per la vita delle persone e per le loro aspettative a riguardo del mondo. Si tratta della partita intorno a quello che possiamo definire il fare i conti con la colpa di essere uomini e di conseguenza il dover espiare la presenza di un male ineliminabile che condiziona il nostro essere e il modo di relazionarci con chi ci circonda. La presenza della malattia su di una scala non gestibile attraverso la prevedibilità, come quella scatenata dalla Pandemia, scatena delle difficoltà pratiche e delle incertezze etiche che devono essere esorcizzate ricorrendo a delle categorie metafisiche.

Questo processo è un argomento che il sapere scientifico moderno non è per sua stessa natura in grado di affrontare e neppure di maneggiare. Per ridurre l’angoscia generata da queste circostanze sono stati invocati dei fattori di compensazione basati sulla fede religiosa. Dobbiamo considerare due diversi atteggiamenti capaci di alleviare il sentimento di smarrimento e in grado di sostenere il tentativo di resistere alla disperazione legata al male che colpisce tanti innocenti:

a)         la fiducia in una Provvidenza divina;

b)         le aspettative legate alle capacità della Scienza. 

Mentre l’azione della Provvidenza rimane su di un piano di analisi insondabile e legato alle sue articolazioni ultraterrene, la fiducia nella Scienza riveste invece delle coordinate meglio indagabili. Risulta indubbio che il progresso medico abbia ottenuto, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, importanti e non contestabili successi. Avere avuto per la prima volta nella storia del genere umano più tempo per vivere e gioire dei fattori positivi dell’esistenza, utilizzando senza eccessivi rimorsi le gioie fornite dal Principio di Piacere, ha generato delle conseguenze misurabili attraverso una visione calibrata sul lungo termine. Si è formata, in un periodo non superiore a un secolo, un’aspettativa di vita protratta di alcuni decenni, la quale ha creato una situazione di incertezza radicale nell’agire dell’uomo, un essere umano le cui coordinate esperienziali e temporali erano rimaste quelle della storia precedente, una vicenda di migliaia di anni che non era possibile relegare in un angolo oscuro. La contemporanea distruzione di ogni aspettativa di eternità che si è verificata, come ha scritto Zygmunt Bauman, ha relegato le persone nella condizione di vivere un eterno presente in cui la costruzione del benessere quotidiano è stata investita di alcuni valori di assoluto non del tutto giustificati e giustificabili, cancellando per questo motivo ogni aspirazione a guadagnarsi un’esistenza ultraterrena, una condizione in cui nessuno più confida.

L’esperienza della vita è stata compressa nella necessità, anzi nel diritto di dovere godere dei suoi benefici come di un fine pretendibile, scalabile, si potrebbe affermare, dalla maggior parte delle persone. Un’esistenza che ha dimenticato la propria natura mortale per concentrarsi in un infinito presente addolcito dal delirio consumistico di persone che trascorrono una notte di veglia per potersi accaparrarsi l’ultimo modello di smartphone, costi quel che costi. Quale è il ruolo della medicina in questo terreno di nuove esigenze e di richieste. Nella mediazione tra un piacere rivendicato e la salvezza da un destino di morte che non era neppure immaginabile fino a poco tempo fa.  Quale compito potrà mai assolvere il medico contemporaneo, indeciso e smarrito anche lui davanti a tante nuove e devastanti certezze quotidiane?

Un tempo il medico era maggiormente protetto nell’esercizio della professione grazie a una diffusa e positiva considerazione sociale che lo circondava di premure e lo sosteneva nel compito di lottare contro il dolore e la morte. Si trattava di una protezione umana ed emozionale efficace che è quasi completamente decaduta, si è dissolta, a causa della condivisione generale delle informazioni legata ai moderni media che forniscono alle persone schegge di un sapere sanitario non mediato dall’esperienza, dalla fatica e dall’insegnamento.

Si è formata in questo modo una generazione di insegnanti che, aggravando il quadro generale, hanno rinunciato a utilizzare dei riferimenti culturali di tipo complesso in medicina, riducendo drammaticamente la qualità della loro comunicazione verso i pazienti e i colleghi. Obbedienti ai dettami dell’Impact Factor, i ricercatori vengono messi sotto pressione e spinti a pubblicare per aumentare il numero delle citazioni che li riguardano e il prestigio dell’ambito di lavoro da cui provengono, fattori questi secondari al valore delle scoperte. Implementano un castello di potere e di autorità che si basa sulla numerosità dei dati e non sulla loro capacità di fornire innovazione.  Sullo sfondo si manifesta nella sua drammaticità la perdita di vista del significato di una pubblicazione scientifica, con la prevalenza degli aspetti legati ai finanziamenti da ottenere, un valore economico connesso all’insindacabilità di una scelta valutativa sui fini ed i risultati. Una facoltà che è diventata appannaggio di pochi soggetti, i quali esercitano un enorme potere di tipo quasi dogmatico, spostando a loro discrezione enormi somme di denaro in settori ben precisi della ricerca.

Si apre in questo modo la strada a uno scenario di completa dissoluzione della medicina come Scienza umana. Se si tratta di applicare linee guida e dettami basati sull’Evidenza non vi sarà e forse non vi è più il bisogno di esseri umani. I super computer destinati alla medicina, come Watson Health dell’IBM, questo lavoro lo sanno fare benissimo, senza errori e in una frazione di secondo. In fondo gli uomini di questo inizio di XXI secolo non sembrano aspettarsi altro. Desiderano una vita lunga oltre un secolo e garantita in cui l’Eternità sia disponibile per tutti e senza fatica. Un’eternità magari scritta con la minuscola, basata sul nascondimento delle grandi domande relative all’esistere, sulla riduzione dell’individuo a essere un consumatore. Un destino che attende l’umanità che ha avuto, fino a ieri,  la fortuna di vivere nel ricco Mondo Occidentale e credere nelle sue promesse certificate da una scienza moderna che appare invece, davanti alla Pandemia, smarrita sul senso del proprio agire. 

Il ruolo del medico e la sua consistenza sociale sono diventati sempre più aleatori. Rimane quello di un certificatore di certezze, di un somministratore di riparazioni dovute che permettano al cittadino consumatore di rientrare a pieno titolo nel proprio circuito lavorativo. Deve curare l’uomo contemporaneo, in cui l’ansia consumistica ha cancellato l’aspettativa e qualsiasi tensione verso una possibile eternità metafisica. La vita umana si svolge, come accennato, in una gabbia di eterno presente in cui solo la droga consumistica riesce a operare un parziale sollievo all’angoscia dell’esistere.

La promessa di una salute garantita diventa allora l’unico valore sostitutivo e pertanto ben vengano i super computer e i microchip impiantati nel corpo, dialoganti con questi salvatori elettronici infallibili di vite e restauratori di ogni futuro possibile, sic et nunc, ora e adesso, perché una vita quasi eterna diventa il solo valore da difendere. Il futuro della medicina appare poco promettente per riacquistare un minimo di libertà decisionale e di visione critica nella professione. Si tratta di una storia che affonda le proprie ragioni in un passato scientifico a volte glorioso e si agita in un presente confuso e condiviso dalla fragile complessità della natura umana.

Come affrontare la sfida quotidiana che il dolore e la morte generati da questo nuovo Flagello impongono ai medici? Sono persone, i sanitari, che hanno perduto, in giovane età e per gli studi e la conoscenza appresa, l’innocenza nei confronti delle ferite inferte al desiderio di felicità degli esseri umani. Hanno preso coscienza fin da subito, questi giovani medici, dell’azione ingiustificata che il dolore esercita attraverso le malattie e le disgrazie.

Non esistono solo rimedi scientifici davanti ad alcuni fattori elementari di estrema ingiustizia, a delle malattie mortali che colpiscono in modo indiscriminato migliaia di persone, che annullano in pochi giorni tutte le costruzioni e le speranze. Il Covid-19 è piombato come una nemesi su di un’umanità in fase regressiva da un punto di vista etico, attraversata da un tempo di barbarie e di egoismi venati di razzismo e discriminazioni. Un genere umano agitato da paure verso un futuro diverso da quello promesso e relativo a un mondo anestetizzato dalla promessa menzognera del benessere per tutti, ora invece messo davanti all’ingiustizia suprema di una morte imperscrutabile e su larga scala. Una situazione imprevista, che ha svelato tutta la fragilità di una costruzione consolatoria falsa, artificiosa, nutrita e articolata attraverso il perseguimento di miti e di messaggi devianti e deviati, nell’esercizio di una nuova e perenne idolatria.

Le parole scritte dal pastore protestante Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), un martire cristiano nel buio della sua cella, nel profondo oscuro del carcere nazista in cui era stato relegato poco prima dell’esecuzione, aprono invece orizzonti di infinita speranza e di ribellione consapevole alla schiavitù della morte.  Bonhoeffer era stato imprigionato per essersi opposto con coerenza al Male che aveva devastato il proprio Paese e l’umanità intera. Un male che alla fine non aveva potuto fare altro che sopprimerlo nella sua violenza consapevole e determinata. Il nazismo lo aveva condannato alla morte e insieme innalzato all’eternità del ricordo e della gratitudine di altri e più compassionevoli  uomini. Tuttavia, in quell’angustia che precedeva una fine solo temporanea, così si esprimeva il religioso tedesco:

«… Comprendete che l’ora della tempesta e del naufragio è l’ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuole essere per noi sostegno e certezza. Egli distrugge, lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di Lui. Questo ci vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero per Dio e totalmente sicuro in Lui …»

Dietrich Bonhoeffer, Osservatore Romano, 15 dicembre 2020

 

Bonhoeffer aveva solo trentanove anni quando salì sul patibolo nel lager di Flossenbürg, presso Monaco di Baviera. Era il 9 aprile dell’anno 1945 e mancavano ormai pochi giorni alla fine della guerra. A figure come lui occorre oggi e sempre fare riferimento quando la disperazione sembra prevalere. Questo perché l’individuazione oppure la costruzione artificiale di un responsabile, di un colpevole nei momenti di grave crisi e difficoltà, come avviene nelle epidemie e nelle guerre, appare una caratteristica del genere umano che non sempre trova il bersaglio su cui scatenare la propria ira e rancore. Può comparire allora una sorta di maledizione che impedisce l’uso della ragione e che spinge come effetto non secondario a rifugiarsi nella barbarie. Bonhoeffer accettò questo ruolo di vittima sacrificale e di subire una suprema ingiustizia con la consapevolezza che il proprio sacrificio innocente sarebbe stato il colpo finale inferto al potere del male che aveva con tanta fermezza combattuto.

Ritengo dovremo convivere a lungo con questa malattia e che troveremo alla fine il modo per superarla. Ignoro quali saranno i nuovi modelli di comportamento e le soluzioni che come comunità umana escogiteremo, tuttavia una cosa è certa. Nonostante l’atteggiamento spesso riduttivo e di mascheramento dei Media che vorrebbero farci credere di avere di fronte un semplice problema di salute, un fastidioso e transitorio imprevisto, le ricadute saranno per buona parte imprevedibili. Gli effetti sociali, culturali e politici di questa Pandemia dureranno per almeno un paio di generazioni prima di essere metabolizzati e ammortizzati. Sentire le dichiarazioni ottuse e penose di certi uomini politici e quelli improvvide di altri uomini che si fanno chiamare scienziati senza un minimo di diniego, senza manifestare un cenno di imbarazzo, seguendo una modestia che dovrebbe essere per loro naturale, individui che tendono a rassicurare e qualcuno di loro abituato ad agire e fare affermazioni secondo delle coordinate apprese per la ricerca del potere, non mi rassicura. Dovremmo ricordarcelo quando questa emergenza si sarà attenuata, dovremmo rammentarcelo quando altri anni si succederanno a questo nefasto 2020 e la speranza tornerà a manifestarsi in tutta la propria forza. Come ho scritto, possiamo uscirne migliori, ma se non agiremo seguendo la compassione, non ne usciremo affatto.


By www.pragmasociety.org 

Estratto da:

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2020 12 13 1

www.scuolapragma.com

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